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a fior d’onda 289


— Chiuso a prora?... Chiuso a poppa?... Chiusa la torre?

— Chiuso!... Chiuso!... Chiuso! — rispondono delle voci da un capo all’altro del battello.

Comandi rapidi si seguono. E per tutto un affaccendamento veloce e taciturno. I motori elettrici si mettono in moto e rombano senza scosse, senza vibrazioni, con una possente dolcezza. Dei marinai curvi volgono sul pavimento le chiavarde che aprono le valvole dei doppi fondi. Si ode uno scrosciare cupo di acqua rinchiusa. Poi più niente. Niente altro che il turbinìo musicale della propulsione.

No, un lievissimo fruscio passa ancora in alto. Sollevando lo sguardo nel cavo oscuro della torre, si sorprende per un attimo sui vetri superiori un fuggitivo balenamento di biancori: la superficie del mare che si richiude.

Ed è finito ogni mormorio fluido di onda, ogni rumore marino, ogni esterno sussurro. Ci si sente sepolti subitamente in una quiete sovrumana.

La prua si inclina lieve: affonda. Le oscillazioni cessano, gli ondeggiamenti si sopiscono. Il sommergibile non ha più i moti fluttuanti della navigazione. Sembra che non solchi dell’acqua, che sia afferrato, tenuto, premuto da una massa solida e muta.