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304 | lettere dal mare |
bile, lo ha toccato con l’attacco delle catene.
In quel punto il cavo sforzato si è rotto. La
torpedine è risalita libera ed è scomparsa. Si
è udita la voce del comandante: — Avanti,
seicento Ampères! — e un sorriso ha illuminato
tutti i volti, il sorriso stanco del lottatore ansimante
che ha atterrato l’avversario.
È la stessa vedetta di quel giorno che sorveglia adesso l’acqua vicina.
Ma è acqua? È proprio acqua questa meravigliosa atmosfera crepuscolare, immobile, densa di una cupa serenità? Attraverso i vetri tutto l’esterno del sommergibile si mostra, netto, preciso, e al primo sguardo sembra emerso, sembra circondato da un’aria di zaffiro, favolosamente sospeso in una quiete pesante e prodigiosa. La prora aguzza si sporge librata come l’avanti di un dirigibile su abissi d’indaco. Il «V.L.A.» è un dirigibile di acciaio sperduto in un cielo di magìa, un cielo la cui vòlta si sia avvicinata intorno, avviluppante, immediata, azzurra, diafana e impenetrabile.
Il battello appare fermo nel glauco albore, ma i sottili cavi di acciaio dell’antenna telegrafica abbattuta, distesi sul ponte, oscillano a colpi regolari e lenti come se una mano ne scuotesse l’estremità, e i pesanti isolatori di porcellana bianca dei fili si agitano con la leggerezza di uccelli legati che tentino la fuga. Sotto alle piccole inferriate di sfogo dell’intercapedine, freme un candore acceso, abbagliante, con-