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320 lettere dal mare


pareti e gli strumenti si sono ricoperti di un loro sudore acquoso e grasso e pare che un senso di fatica opprima anche le cose. Ma è inutile mettere in moto gli aspiratori dell’acido carbonico e aprire i rubinetti dell’ossigeno; si torna alla superficie. «Ehi, cuciniere, metti su la pentola!»

È un rito. Quando si sta per emergere, si pone sul fornello elettrico la pentola dei maccheroni. L’apertura dei portelli combina con l’ebullizione. Aria pura e pasta asciutta sono il meritato compenso della sera. Il battello manda un lungo e poderoso sospiro, strisciante, sonoro, il soffio che scaccia l’acqua dai doppi fondi.

La prora si solleva, poi ricade, oscilla, ondeggia, beccheggia, naviga, vive, e improvvisamente è un vasto tumulto lieto di acqua che scorre, acqua che scroscia, acqua che mormora, che gorgoglia, che sciabotta, sono tutti i rumori del mare che si svegliano insieme, è il canto eterno del moto, è il mondo che ritorna.

Adagio adagio il portello della torre è svitato e la pesante atmosfera interna sibila sfuggendo. Il sommergibile si apre col rumore di una gigantesca bottiglia di champagne stappata lentamente. Un urto sordo percuote le orecchie: il portello è spalancato. Delle teste sorgono dai boccaporti, e il crepuscolo illumina volti pallidi, emaciati, sporchi e ridenti

— Su l’antenna, svelti!