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158 lo cunto de li cunti

          No schiecco, no giojello,
          No cuccopinto, na Fata Morgana,
          Na luna quinquagesima retonna,
          Fatta co lo penniello;
          La vevarrisse a no becchiero d’acqua,
          No muorzo de signore,
          Ninnella, caccia core!
          Co le trozze t’annodeca,
          Co l’uocchie te smatricola,
          Co la voce te sbufara!
          Ma, comme è copellata.
          Uh, quanto fuoco vide.
          Quanta tagliole e trapela,
          Quante mastrille e trafeche,
          Quante matasse e gliommare!
          Mille viscate aparano,
          Mille malizie mentano,
          Mille trapole e machine,
          Moscate stratagemme,
          E mene e contramene e mbroglie e sbroglie!
          Tira comme a n’ancino,
          Nsagna1 comme a barviero,
          Gabba comme a na zingara2,



  1. Salassa.
  2. Contro gli zingari c’è una serie di prammatiche, che ne ordinano la cacciata da Napoli e dal Regno. V. pramm. 13 luglio I559, rip. il 1560, 1569, 1575, 1585, ecc. (De Sariis, Codice delle leggi, Nap., 1797, L, XII, T. LVI). Il Del Tufo li menziona tra le nazioni, ch’erano a Napoli al suo tempo (1588): «I zingari ancor lor, che dall’Egitto, Popolo così afflitto, Vengono ramingando», trovano da vivere, «col vender dei fosilli e moscoloni» (ms c., f. 103). Nel seicento, una colonia di zingari abitava in un luogo del quartiere degl’Incarnati, presso l’Arenaccia: che «fu assegnato per abitazione a questa razza di gente, per farla abitare fuori della città, e, quarant’anni sono (intorno al 1650), ve ne abitavano più di cento famiglie, che avevano il di loro capo, e questo chiamato veniva Capitanio» (Cel., o. c., V, 461). Cfr. III, 3.