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jornata ii. trattenemiento I. 173


to1, nè Ben venga lo Mastro2, nè Rentinola, mia rentinola3, nè Scarreca la votta4, nè Sauta parmo5, nè Preta nzino6,



    563-4). Il Serio: Compagno mio feruto sotto (o. c., 50). Ed è forse lo stesso del giuoco siciliano: A cumpagnu sei firutu, descritto dal Pitrè (l. c., n. 110, pp. 200-1).

  1. Cfr. Lett. Nella G. III, 3. Renza, abbandonata dall’amante, dice: «Vedéreme fatto lo juoco de li peccerille: Banno e commannamiento da parte de Mastro Iommiento, mentre me magenava de joquare ad Anca Nicola co tico!» Cfr. anche II, 6. Un giuoco, nel quale le parole rituali dovevano modellarsi sulle formole dei bandi, che, difatti, cominciavano, per es.: «Bando e comandamento da parte della Gran Corte della Vicaria, per lo quale si notifica, ecc.».
  2. Cfr. IV, 8, e Lett.
  3. Cfr. Lett. — Rentinola, rondine. C’è un giuoco, nel quale una fanciulla si mette in ginocchio, le altre le stendono le mani in testa, e una di loro gira intorno, cantando: «Rondine, mia, rondine, Sussiteve a ballà. — Che m’aggi a sosa a fa? — Ve vote lu vostro padre. Che ve vole mmarità ecc.». Così in una versione beneventana. Una versione napol., invece, comincia: «Tonninola, tonninola, Jesce a ballà». Finita la canzone, prende una delle fanciulle, e ricomincia il canto, finchè non sieno prese tutte, meno quella che sta in ginocchio. (F. Corazzini, I compon. minori della letter. pop. Ital., Benevento, 1877, pp. 108-9).
  4. Cfr. III, 3. Il Serio ne riferisce le parole: «Piripirotta, Scarreca la votta, Piriperino, Scarreca lo vino» (o. c., p. 50). V. anche De Bourcard, (Usi e cost., I, 303, sgg.), e L. Molinaro del Chiaro, in GBB., III, 6), il quale lo annovera tra i giuochi infantili, e dice che si fa, «ponendo il fanciullo a cavalcione sulle ginocchia e agitandolo in guisa del trotto dei cavalli... Nel ripeter l’ultimo verso si allargano le cosce così da farvi cadere in mezzo il bambino». Cfr. Pitrè: A scarica canali (o. c., n. 118, pp. 212-5).
  5. Lo descrive lo Sgruttendio in un suo sonetto: «Le disse: Cecca, va a lo fenestriello, E a sauta parme videce jocare». Chiamati varii compagni, incominciano a saltare. Ma, al poeta, nel saltare, si rompe la cinghia dei calzoni, e Cecca esclama: «Chisso n’è sauta parme, è zitabona!» (o. c., I, 37). Cfr. il Serio: zompaparmo (o. c., p. 50).
  6. Cfr. Lett., e Del Tufo (l.c.); Velardiniello: «Le donne: a preta nsino, a covalera, Tutto lo juorno sino a notte nera» (o. c., p. 8). Potrebbe esser qualche cosa di simile al giuoco più conosciuto col