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jornata ii. la tenta x. 271

          Non te ntenno spagliosca,
          Ca sto parlare tujo mpapocchia e nfosca!
Col.    Vì, ca, si tu me ntienne,
          Te mezzarai tentore,
          O pure de canoscere chi tegne;
          Ed averrai gran gusto
          Mparare st’arte nova, arte, che corre
          Fra le gente chiù scautra;
          Arte, che piglia a patto
          No scarafone, che te para gatto!
          Siente, sarà na forca de tre cotte1,
          Che scopa quanto matte, e quanto allumma2,
          Che n’auza quanto vede,
          Ch’azzimma, quanto trova.
          Ora chi sa sta tenta,
          No le3 dà nomme nfamme
          De latro marivuolo.
          De furbo marranchino4,
          Ma dirrà, ca se serve
          De lo jodizio, e caccia li donare
          Da sotta terra, abbusca, e saria buono
          A campare fi drinto de no vosco;
          Che s’approveccia, ed è no buono fante,
          Saraco, tartarone e percacciuolo,
          Corzaro de copella.
          Che non perde la coppola a la folla5;
          E, nsomma, co ssa tenta
          Cossì bella e galante.
          Piglia nomme d’accuorto no forfante!



  1. (EO) corte.
  2. Scopa, ruba ciò, che incontra e che adocchia.
  3. (EO) vole.
  4. Mariuolo, ladroncello: adopera anche il Bruno (Candel. V, 5).
  5. Cioè a dire: è uomo attento, e accorto, che in ima folla non perderebbe il cappello.