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LXXIV INTRODUZIONE


La Vajasseide è il primo parto della musa napoletana del Cortese. È un poemetto in cinque canti, in ottava rima, che descrive alcuni costumi di amori, gelosie, feste, matrimonii del popolino napoletano. La composizione, come in quasi tutte le opere del Cortese, è piuttosto scucita, e tutta episodica. La forma è semplice, i versi buoni, le descrizioni, per lo più, vivacissime. Seguì il Micco Passaro (1619), del quale è eroe un guappo, o smargiasso, come allora si diceva. La vita dei guappi napoletani, e delle loro innamorate, s’inquadra nel racconto di un’impresa contro i fuorusciti d’Abruzzo, che, storicamente, trova riscontro nella spedizione di Carlo Spinelli contro le bande di Marco Sciarra, avvenuta ai tempi della prima giovinezza del Cortese. Pubblicò poi un romanzetto in prosa: li Travagliuse Amure de Ciullo e Perna, che, appartenendo al genere serio, manca di quelle qualità, che hanno le due opere precedenti 1.

E manca egualmente di queste qualità una delle sue opere più celebrate, la favola posellechesca, intitolata La Rosa. Il Cortese, per solito così semplice, così vivo, quando tratta di cose burlesche, nella Rosa ha i peggiori difetti dei seicentisti: i pensieri, i sentimenti dei personaggi sono continuamente tradotti in quella forma, tutta



    napoletana, v. anche il Tardacino (B. Zito), Com. alla Vajass. cit., pp. 236 sgg., e contro il toscanesimo, ivi, p. 58.

  1. Delle opere del Cortese discorse acconciamente Giuseppe Ferrari, in certi suoi articoli: De la litterature populaire en Italie, inseriti nella Revue des deux mondes, anni 1839 e 1840. Sul Cortese, v. T. XXI (1840), pp. 509-11.