Pagina:Battisti, campagna autonomistica, 1901.djvu/47

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passate, un gemito estremo di chi più non ha nè gagliardia, nè speranza.

Una volta non si concedevano alle nostre città mezzi per progredire, per costruire ferrovie o strade, per dar vita a nuove industrie; ora si fa di più: si impedisce che questi mezzi ce li procuriamo noi, e tutti sanno come da Innsbruck sia venuto il veto alle imprese tramviarie di Trento.

Si spendevano una volta i denari comuni in vantaggio quasi esclusivo del Tirolo a danno del Trentino: ora si è andati più in là. Rimane fisso il canone della distribuzione, mentre cresce la proporzione del contributo che dobbiamo versare noi.

Si tentava un tempo di sviluppare oasi germaniche fra noi; ora si pensa a scindere la nostra unità nazionale, staccando addirittura dalla regione valli intere per aggregarle politicamente e amministrativamente a centri non naturali.

A far la storia di questo crescendo di sciagure, che per opera della borghesia tirolese si sono accumulate su noi, non si riuscirebbe facilmente; d’altronde i pochi esempi recati posson bastare.

Ma al raddoppiarsi delle offese, il paese non seppe rispondere con raddoppiata energia di difesa. Di ciò che si faceva un tempo, oggi non vi è nè ricordo, nè traccia. Una volta si raccoglievan proteste con cinquantamila firme su appena trecentomila abitanti, si indicevano comizi pubblici, si inscenavano dimostrazioni ai deputati reduci dalla dieta, si dava ad ogni elezione il carattere di una lotta di protesta. Oggi nulla di questo.

E se gli avversari del Trentino mostrano talvolta un po’ di pudore e temono l’ira nostra, è solo perchè ricordano l’opera d’altri, che in altri tempi seppero seriamente combattere, ricordano che il paese ebbe leoni ruggenti e temono che questi leoni possano ridestarsi.

Oggi invece il paese nostro è terra di morti e noi stessi, per rifarci energia e coraggio in mezzo a tanto squallore, dobbiamo evocar l’opera e la memoria dei molti caduti, virilmente caduti in difesa della libertà del Trentino.