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smunta e sottile la zia Emma, e non rideva mai adesso. Quando Dorothy, che non aveva più né babbo né mamma, era venuta a vivere da lei, la zia Emma era stata così sorpresa del riso della bimba che s’era messa a gridare stringendosi le mani sul cuore nell’udire la vocetta allegra della nipotina: e ancor’oggi guardava stupita la bimbetta, meravigliandosi che potesse rider di qualche cosa.

Nemmeno lo zio Enrico rideva mai. Lavorava accanitamente da mane a sera e non sapeva che cosa fosse la gioia. Anche lui era tutto grigio, dalla lunga barba agli stivali di ruvido cuoio: aveva un aspetto severo e solenne e parlava di rado.

Era Totò che faceva ridere Dorothy e fu lui che le impedì di diventar grigia e seria come tutto quel che le stava attorno. Totò non era grigio, lui: era un bel cagnolino nero, dal lungo pelo che pareva seta e dagli occhietti scuri che scintillavano furbescamente ai due lati del musetto birichino. Totò giocava tutto il giorno, e Dorothy giocava con lui, e gli voleva molto bene.

Quel giorno, però, non giocavano. Lo zio Enrico stava seduto sull’uscio di casa e fissava preoccupato il cielo più grigio del solito. Dorothy stava sulla soglia tenendo in braccio


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