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Attratto dai nomi più noti, presi un volume del Dickens e mi posi a leggere. Egli era sempre stato il mio prediletto fra gli scrittori del secolo (intendo parlare del decimonono); e nella mia vita passata non mi era mai occorso di lasciar trascorrere una settimana senza leggere alcune pagine sue, onde scacciare la noia. Nella mia singolare situazione, qualsiasi lettura mi avrebbe straordinariamente impressionato; ma la mia antica dimestichezza col Dickens, prestò ai suoi scritti un effetto speciale, facendomi notare più particolarmente l’eterogeneità di quanto ora mi circondava. Per quanto nuovo e differente sia il centro in cui un uomo si trova, egli cerca sempre, fin dal principio, di avvezzarvisi, sicchè la facoltà di considerarlo obbiettivamente va perduta. Questa facoltà si era già indebolita in me; ma la lettura del Dickens, riconducendomi al punto di vista della mia vita passata, me la restituì nuovamente. Vidi con una chiarezza, sinora sconosciuta, il passato ed il presente, come due quadri fra loro in contrasto.

La mente del gran novelliere del secolo XIX può infatti, come quella di Omero, sfidare il tempo: ma la cornice delle sue sorprendenti narrazioni, la miseria dei poveri, l’ingiustizia dei potenti, la spietata crudeltà del sistema sociale, era sparita interamente come Circe e le Sirene, Cariddi ed i Ciclopi. Dopo di esser restato più ore nella biblioteca, il dottor Leete venne a cercarmi.

«Editta mi parlò della sua ispirazione», osservò, «e trovo che essa fu buonissima. Era alquanto curioso di sapere a quale scrittore vi sareste rivolto dapprima. Ah, al Dickens! Lo ammirate dunque? In ciò siamo d’accordo; secondo il nostro modo di vedere, egli supera tutti gli scrittori del suo tempo, non per altezza d’ingegno, ma perchè il suo nobile cuore batteva per i poveri, perchè egli faceva sua la causa delle vittime della società, di cui sferzava, con la sua penna, la crudeltà e la freddezza di cuore. Non vi fu nessuno che, come lui, cercasse di rivolgere l’attenzione generale sull’ingiustizia dell’antico ordine delle cose e di far vedere agli uomini la necessità dei grandi cambiamenti imminenti, quantunque egli stesso non li avesse concepiti chiaramente».