Pagina:Bentivoglio, Guido – Memorie e lettere, 1934 – BEIC 1753078.djvu/119

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libro primo - capitolo ix 113


ogni commoditá e di tempo e di luogo e di quiete, lá dove io quasi sempre ho scritto di furto, essendomi bisognato rubare me stesso continuamente alla violenza che a tutte l’ore mi hanno fatta nel divertirmi dall’intrapreso lavoro e le cure private e gli affari publici e lo strepito inquietissimo della corte, e l’impedimento della mia languida sanitá che è stato il maggiore e piú molesto di tutti gli altri. Onde tanto piú scusabili potranno essere gli errori da me commessi quanto piú giustificate sono l’occasioni d’aver io potuto commettergli. Di vantaggio e non debole io potrei forse pregiarmi, cioè d’aver con publico ministerio sui luoghi stessi maneggiato e veduto; riceverono nondimeno piú volontieri per l’opinione degli altri che per mia propria. Ma è tempo ormai di tornare alle materie di prima.

Non mancavano altre persone di lettere ancora in palazzo. Era bibliotecario della famosa biblioteca vaticana il cardinale Baronio. In quel tempo sotto di lui alla custodia de’ libri e del luogo mi ricordo che si trovava una persona, il cui nome ora non mi sovviene, ch’era molto stimata in quella corte per quella sorte d’officio, richiedendosi molta cognizione di lettere, e specialmente ecclesiastiche, a ben sostenerlo. Avevano pure similmente l’uno e l’altro de’ cardinali nepoti nelle famiglie loro diversi uomini e di lettere e di negozi molto qualificati; e perché le nunziature della sede apostolica erano divise fra essi due nepoti, come fu mostrato di sopra quando si parlò dell’uno e dell’altro, perciò ciascheduno di loro aveva un principale segretario, dal quale si reggeva il peso delle corrispondenze e degli ordini che di mano in mano si inviavano alle corti dove risedevano i nunzi. Questi due segretari andavano in abito pavonazzo, e molto spesso negoziavano in persona propria col papa, e gli offici loro per ogni altra circostanza erano de’ piú stimati che avesse il palazzo. Chiamavasi, il segretario d’Aldobrandino, Erminio Valenti, e quello di San Giorgio, Lanfranco Margotti. Quello era da Trevi, luogo piccolo e aperto e poco distante dalla cittá di Spoleti; questo era nato in Parma o lá d’intorno. L’uno e l’altro era di con-