Pagina:Bentivoglio, Guido – Memorie e lettere, 1934 – BEIC 1753078.djvu/456

Da Wikisource.
450 nota


Lo Sforza Pallavicino dice del Bentivoglio: «ha saputo illustrar la porpora con l’inchiostro, e a dispetto dell’etá grave della complession inferma delle occupazioni publiche de’ travagli domestici, s’è conquistato uno de’ primi luoghi fra gli scrittori italiani, sì per cultura di stile come per gravitá di sentenza. Ma fu egli sì geloso del numero sostenuto e ripieno, che a fin d’appoggiarlo e di ricolmarlo non ricusò la spessezza d’alcune sue particelle per altro sterili e scioperate, le quali a guisa dell’acqua d’Arsio diffusa nella piú generosa verdea di Toscana, smorzano alquanto la vivezza dei sentimenti». E poiché lo Sforza Pallavicino aveva precedentemente rimproverato di due «nei» e cioè delle «parole inutili, quasi aggiunte per turar le fessure del numero...» e della «uniforme armonia del seguir sempre mai la stessa maniera di numero senza variarlo», insieme col Bentivoglio, l’Orlandino, continua dopo le parole giá da noi riferite: «né alcuno mi giudichi o temerario in chiamare alla mia censura penne sì chiare, o ingrato in additare i difetti di quelli autori ad un de’ quali per unione di abito, all’altro per congiunzione di cuore sono specialmente obligato...»1.

Ma ci sia pur lecito rilevare piú di quel che non abbiamo fatto fin’ora che la fortuna delle opere del Bentivoglio ben era affidata anche a doti intrinseche loro, e nello stesso tempo all’interesse degli argomenti che sono stati in esse trattati. Alle Memorie giova, starei per dire, una certa graziosa vanitá, che ritrae non antipaticamente il carattere dell’autore; e verrebbe in qualche punto spontaneo l’esclamare: — simpatici questi sfoghi di vecchi d’alto ingegno, che ormai compiuto tutto il ciclo dell’esperienza, hanno pur notato tutto ciò che la vita ha di amaro e di triste, e

    pp. 266-267 di quest’opera si può anche leggere una poesia di Fulvio Testi: «All’eminentissimo e reverendissimo signor Cardinal Bentivoglio», nella quale, dopo aver ricordato le glorie militari e politiche dell’illustre famiglia, il poeta dice:

         Se di sangue smaltar l’aste fraterne
    d’Olanda contumace il suol palustre,
    gran ricompensa è che con penna illustre
    l’ardite imprese sue tu renda eterne.
         Dentro agl’inchiostri tuoi raccolti i rivi
    tutti son d’Ippocrene, e cosí puri
    corron, che ’n paragon sembrano oscuri
    gli Erodoti alla Grecia, al Lazio i Livi.

  1. Arte del dire, V, 6, in Bologna, per G. Monti, 1647.