Pagina:Berchet, Giovanni – Poesie, 1911 – BEIC 1754029.djvu/325

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AMORE
e divina la rende. E l’uom di sua
donna lo spirto ama e le membra, e tutto
immensamente nell’amata adora.
Ella, che la gentile anima apprezza
nella bella persona, al suo fedele
volge tutta se stessa, e per lui solo
bee contenta del sol la cara luce.
Non desio, non timor, non spunta affetto
in cor dell’uno, che nell’altro core
uno ugual non ne sorga ad incontrarlo.
Bella è la vita: fin dalle sciagure
tragge vigor la nobil fiamma, e brilla
fin dopo il rogo. A te di guai fu padre,
Tisbe leggiadra, amor mentre vivevi;
ma il fermo animo tuo tutto sostenne,
e tu premio ne avesti, e teco l’ebbe
quel che tanto a te piacque almo garzone.
O fortunati voi ! ché un ferro solo
sprigionò le vostr’alme e le congiunse ( l6 ).
O fortunati ! ché quel campo istesso
che ti dié tomba, o Tisbe, anco raccolse
Piramo amato. E se crudi parenti
v’invidiar le nozze, almen pietade
ne sentirò i celesti. Oltre l’avello
non giunge orgoglio; e a furiar non scende
ira d’uom pazza nelle morte case.
Tacquero i canti de’ fanciulli, e sacro
fuoco non surse dall’altar, né pio
il sacerdote inghirlandò le corna
alla giovenca; ma piú santo il rito
fecero i numi, e la divina Morte (*7)
pronuba venne ella medesma. Intanto
Giuno e Ciprigna e l’ immortai Latona
ivan tutte del par rose eleggendo,
vergini rose e gigli ed amaranti
lungo le fonti dell’Olimpo; e vago
n’apprestarono talamo le Grazie
ai giovinetti. Le Pimplee la voce
sciolsero all’ inno. Toccò l’arpa Apollo
e per entro le sfere un’armonia