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Lettera di Grisostomo

al molto reverendo signor canonico don Ruffino

 Signor canonico,

Ho letto con vera compunzione la garbatissima lettera scrittami da V. S. in difesa del Tiraboschi. Non avrei mai creduto che quel mio breve cenno nel numero 21 del Conciliatore, ov’io rinfaccio al Tiraboschi penuria di filosofia, dovesse recar tanta offesa alla coscienza letteraria d’alcuni fra’ miei concittadini. Me ne duole infinitamente, e sento purtroppo che il torto è tutto mio. Fo l’uomo di lettere e non ne so l’arti. Se io fossi letterato davvero ed italiano di cuore, non oserei pensare, non oserei scrivere ciò che io penso: non avrei letto mai il Tiraboschi, e di lui non avrei detto mai altro, se non che «il chiarissimo, l’eruditissimo, il sapientissimo Tiraboschi». Ma il male è fatto: pensiamo al rimedio.

Prima di tutto la ringrazio, signor canonico, del lungo elenco dei lodatori del Tiraboschi, ch’Ella si compiacque d’inviarmi. Quell’elenco mi ha persuaso, e la perorazione del di lei discorso mi ha cavate le lagrime. Che vuole Ella di piú? Si lasci intenerire dalle lagrime mie, e tra me e lei sia pace.

Ma non basta ancora. lo deggio alla veritá ed all’onore della patria una pubblica e solenne testimonianza della mia conversione. Dichiaro dunque a V. S., e con essa a tutti i canonici di lei confratelli, che io convengo pienamente nel parere dei dottori italiani, e dico che hanno veramente ragione ragionevolissima di venerare il Tiraboschi come profondissimo filosofone, e di disprezzare madama de Staël come frivolissimo intellettuzzo.