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benché lontano, e fra le lusinghe della sua nuova fortuna mandi ancora qualche sguardo di riverenza e d’amore a’ suoi ospiti antichi.

Pigliata occasione da un libro italiano intitolato Osservazioni intorno alla quistione sopra l’originalità del poema di Dante di Francesco Cancellieri (Roma, 1814), la Rivista di Edimburgo, che nel suo numero antecedente aveva giá incominciato a parlar qualche poco di Dante, riassume intorno a quel sommo italiano il suo discorso.

Incomincia dal deridere come poco importante questa benedetta quistione della originalitá; e davvero chi non è membro dell’alta camera dei pedanti e non è usato a stillarsi il cervello sulle frascherie, è costretto in coscienza a convenire nel parere della Rivista.

L’opinione pressoché generale di coloro che contrastano a Dante l’originalitá dell’idea del suo poema, è che questa fosse a lui suggerita dalla Visione di frate Alberico. Ma frate Alberico non fu l’unico frate visionario che si pigliasse gusto di viaggiar vivo col suo pensiero all’altro mondo, prima che Dante ponesse mano alla Divina commedia. Fino da’ primi secoli del cristianesimo alcuni santi si dissero da Dio favoriti con visioni e rivelazioni, come può vedersi da quelle di san Cipriano, di santa Perpetua, ecc.

ecc. Ma di queste accadde come dei miracoli, cioè che dopo i miracoli veri ne furono spacciati non pochi falsi, e quindi molti sogni furono spacciati come visioni. I gradi di somiglianza che esistono tra la Visione di frate Alberico e ’l poema di Dante (e per veritá sono pochi), esistono altresí tra questo e molte altre visioni, e specialmente con quella d’un frate inglese anonimo, riportata da M.

Paris nella sua Histoire anglaise, ad an. 1196. «O Dante— dice la Rivista— si giovò di tutte, o non se ne giovò di nessuna». E questa ultima credenza par piú ragionevole a chi considera la natura dell’ingegno di Dante, «il quale per altro— segue a dire la Rivista,— vedendo stabilita per opera de’ frati nella fede popolare una specie di mitologia visionaria, pensò d’adottarla, nella stessa maniera che Omero aveva adottata la mitologia del politeismo».