Pagina:Berchet, Giovanni – Scritti critici e letterari, 1912 – BEIC 1754878.djvu/60

Da Wikisource.
56 scritti critici e letterari

Non è maraviglia poi se genti farnetiche, le quali mischiano psicologia fino nel parlar di canzoni, vestono oggi il sacco del missionario, ed esclamano: — Voi, italiani, avete un bel suolo, un bel cielo, una bella lingua; ma dei tesori intellettuali, di cui va ricca oggimai tutta insieme l’Europa, voi non ne possedete quanto certi altri popoli. Voi ci foste maestri un tempo; adesso non piú. Alcuni tra voi coltivano bene le scienze fisiche e matematiche; ma di buone lettere e di scienze morali voi di presente patite penuria, avendo troppo poche persone eccellenti in questi generi. —

Noi dunque penuriamo? Bravi davvero! Lasciamo stare che tutto quel poco che si sa fuori d’Italia è tutto dono nostro. Lasciamo stare che noi potremmo comperare mezzo il Mogol, se voi, stranieri, ci pagaste solamente un baiocco per ogni sonetto stampato da venti anni in qua in Italia, e che noi per un baiocco l’uno acconsentiremmo di vendervi. Lasciamo stare che da venti anni in qua noi abbiamo immaginato libri tali di letteratura, da potere squadernarli sul viso a qualunque detrattore, allorché ci risolveremo a comporli ed a svergognare il resto d’Europa. Lasciamo stare che in Firenze e fuori di Firenze vi hanno giornali che vegliano dí e notte alla vendetta, e che con brevi ma calzanti argomenti rovinano i paralogismi e mandano scornata l’arroganza di chi ne minaccia assalto; e quel che è proprio edificante, usando rispetto verso le persone, decenza nei modi e galanteria fiorita coi rivali di sesso gentile: arti tutte non praticate che in Italia, perché il Galateo è nato qui. Lasciamo stare che le ingiurie de’ nostri nimici, non appena scorsi diciannove anni da che sono stampate, cosí calde calde noi le confutiamo: tanto è vero che in Italia non si dorme! Lasciamo stare che da qui ad altri diciannove anni saremo pronti a ripetere le osservazioni in lode dell’Italia che trovansi stampate ne’ libri di quegli stessi nemici e non leggonsi ne’ libri nostri. Lasciamo stare, dico, tutto questo. Sia pur vero l’ozio letterario di che ne si vuole rimproverati. Ma che potete voi dire di piú lusinghiero per noi? Questo nostro far nulla per le lettere non è egli il documento piú autentico della ricchezza che n’abbiamo?