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LA TESTA DELLA VIPERA 111


Matilde questa volta non potè dissimulare la smorfia: la fece appena visibile, ma la fece.

— Mi rincresce, rispose Alberto, che la casa è piccola e non possiamo offrirti che una cameretta...

— Ma io non ho bisogno di camera nessuna, Ci ho il mio quartiere...

— Dove?

— Là, in quella casetta, se non isbaglio, che mi attende a finestre e porte spalancate.

— Come! sei tu il pigionale del palazzotto?

— Sono io.

— Tanto meglio! Bravissimo! Ecco una bella idea!

Emilio fu subito un prezioso compagno; lui a regolare dieta e passeggiate del convalescente e somministrargli farmaci opportuni; lui a guidare per quelle amene colline escursioni che riuscivano salutifere e dilettevolissime ai grandi e ai piccini; lui a sollazzare questi ultimi con giuochi, racconti ed esercizî ginnastici; lui a dare al padrino la soddisfazione di vincerlo agli scacchi, a far la partita al bigliardo con Alberto e con Cesare; lui a fare a questi due da maestro di caccia, mandandoli sempre più meravigliati della sua abilità di tiratore di cui poi e l’uno e l’altro narravano a gara in famiglia le stupende gesta. Matilde, senza dirsene chiaro il perchè, udiva sempre quei racconti con una mala voglia che era quasi un presentimento di male.

Quella di Emilio fu una perfezione di dissimulazione che avrebbe ingannato qualunque.