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LA TESTA DELLA VIPERA 47

— Ci vuole un medico... Presto un medico... Giacchè tu vali quanto un ceppo... va almeno in cerca d’un dottore... Ma fa presto!... Spicciati!... Santa Madonna!... E sta lì grullo come se si trattasse di un passerotto e non di suo padre.

Emilio non disse nulla: girò sui tacchi, andò a finire di vestirsi, e uscì con tutta calma. Prima ch’egli fosse di ritorno era passata un’ora, che parve un secolo alla Marianna, e in cui l’infermo, sempre più assopito, cessò a poco a poco di gemicolare rantolando solamente in molto penosa maniera.

Il medico sopraggiunto non potè che ripetere quanto già Emilio aveva detto: che non v’era nulla da far più e soggiunse che a momenti l’infermo sarebbe entrato in agonìa. La Marianna si mise a strillare disperatamente, cacciandosi le mani nei capelli.

Il medico si volse ad Emilio.

— Qualche ora fa si sarebbe dovuto liberargli il ventricolo con un buon vomitivo. Forse avrebbe ancora potuto riaversi.

Emilio chinò gli occhî.

— Sì, certo, disse tranquillamente, è quello che penso ancor io... Ma quando fui chiamato era già troppo tardi.

Tutte le grida e la disperazione della Marianna non valsero a trattenere un minuto di più in questo mondo lo spirito di Lorenzo Lograve: e sul far del giorno, in quel letto, dove avevano coricato l’ebbro giuocatore, non c’era più che un cadavere.