Pagina:Bersezio - La testa della vipera.djvu/62

Da Wikisource.
60 LA TESTA DELLA VIPERA

Cesare, notava non apparire esso troppo efficace a rendere meno funeste le conseguenze degli scontri, perchè ognuno di essi aveva sempre procurato agli avversarî del figlioccio qualche ferita più o meno grave. Del resto un certo effetto sull’animo del severo padre di Cesare lo producevano pure la meravigliosa abilità, il valore e le continue vittorie del figlioccio, il quale presso il padrino sapeva eziandìo, in parole, apparir mite, modesto, buono.

Aveva così il vecchio Danzàno posto un po’ d’affezione per quel giovane cui ricordava la povera di lui madre, morendo, aver voluto raccomandargli, a quanto gli aveva detto la monaca che aveva assistito a quell’agonìa; lo aveva compianto vittima della trascuranza, peggio, del disamore e dei vizî del padre; e si lasciava illudere dalla ipocrisia dei discorsi di quel soppiattone.

Chi non se ne lasciava ingannare era Matilde, divenuta un fior di ragazza. Bella essa era davvero e più che mediocremente: ma più ancora della bellezza poteva in lei una grazia, un incanto, un non so che, onde ne veniva ad ogni suo atto e movenza, ad ogni parola e sorriso e sguardo, tale seduzione che impossibile non rimanerne vinti. Nè questa grazia era menomamente intinta d’artificio e di civetterìa; si accompagnava colla più ingenua semplicità e modestia, e riusciva di tanto più cara ed efficace: conquideva i giovani, s’ingraziava i vecchî, vinceva persino la gelosìa e l’invidia delle donne.