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LA TESTA DELLA VIPERA 87

la malattia di quest’ultimo, venne stabilendosi una amicizia, una intimità, che non avrebbe potuto essere maggiore dopo anni ed anni di convivenza.

Guarito, Alberto frequentò la casa del nuovo amico, e vi mostrò carattere così aperto e buono, costumi così onesti e sentimenti tanto lodevoli, da ottenere la stima e l’affetto di tutti.

E quindi, allorchè, sei mesi dopo il fatal duello, Alberto Nori venne a chiedere ufficialmente la mano di Matilde ai genitori di lei, fu unanime il parere di tutti, di premurosamente acconsentire. Il matrimonio, che ebbe luogo al chiudersi dell’anno, ottenne l’approvazione e l’invidia di tutti, come quello che per le condizioni reciproche di età, di fortune, di carattere dei conjugi prometteva di riuscire il più felice che sia possibile.

E mantenne la promessa. Gli sposi furono felicissimi e lo meritarono. Matilde e Alberto potevano dirsi davvero fatti l’uno per l’altra; la dolcezza di lui temperò ancora meglio la primitiva petulanza di lei che gli anni avevano pure già scemato; l’amore, la fioritura della giovinezza, la soddisfazione del cuore, diedero alla beltà di Matilde nuovo pregio, nuovo incanto, nuovo splendore.

Come se la fortuna volesse favorire con ogni sua grazia quella giovane coppia amorosa, un anno dalle nozze non era ancora trascorso, che Matilde si vedeva appeso al seno e dondolava fra le sue braccia un amorino di bimbo così bello