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Mille. | 109 |
ra nuova vita, e nuovo giorno di nuove speranze, e pensieri, qual coraggio, qual for-
sato il mille ripullulasse quell’opinione quasi in ogni secolo ancor più illuminato d’assai; ma tanta è la forza del mirabile, e del terribile insieme sopra dell’uomo, che fu sempre proclive all’inganno. E se non fosse stato sì comune alle nazioni, o quasi proprio inganno dell’uomo, potrebbe riflettersi, che l’Italia sin da’ primi tempi inchinato avea sempre a cotale superstizione, poichè gl’indovini d’Etruria faceano tal professione principalmente in mezzo a’loro altri augurj, riti, ed usi religiosi insegnati poi a’ romani. Gli stessi romani dopo i greci, gli egizj, e quasi tutte le nazioni ebbero la stessa paura del fin del mondo, quando trovaronsi in grandi calamità. Virgilio, Ovidio, Cicerone han parlato di ciò chiaramente. Noi stessi udiamo spesso nel caso di straordinarj disastri, e rivoluzioni che siamo alla fine del mondo. Qual maraviglia che tra le misere vicende del novecento così abbian pensato i cristiani avvezzi ad interpretare tanti passi del vangelo sopra la fin del mondo, come proprj di loro per la paura, e l’avvilimento, in che aveal posti l’orror de’ mali, e l’ignoranza? Non è però a stupire, che molti facessero testamento con quel principio = Avvicinandosi la fin del mondo io dono e lascio i miei beni alla chiesa, al monastero ec.