Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/105

Da Wikisource.

capo v. 97

di sale e di sentimento. Passava con molta facilità sopra ogni sorte di argomenti, il che doveva principalmente alla vastità delle sue cognizioni e alla sua profonda pratica delle cose e degli uomini. Parlava di tutto, ma sempre richiesto, non mai o di rado chiedente. La prontezza della sua memoria nel citare autori e tempi e testimonianze faceva ammirare persino i più destri. La sua eloquenza, tal quale nelle sue opere; più nei pensieri che nelle parole. Nella conversazione famigliare usava il dialetto natio; possiedeva perfettamente il latino, il francese, lo spagnuolo, il greco antico e moderno; nell’ebreo era profondo, nel caldeo più che mediocre, aveva pratica del dialetto rabbinico, e degli altri idiomi semitici aveva più o meno leggiera tinta. E con tanto sapere era così umile e così poco smanioso di farsi conoscere, che a chi già saputo non lo avesse, gli bisognava una lunga conversazione per misurare gli spazi infiniti abbracciati dal suo genio.

La continua pratica con principi e signori aveva dato alle sue maniere una certa dignità e non curata eleganza, che riusciva ancor più attraente sotto la modestia dell’abito e del discorso, e nella povertà della cella.

Era disinteressatissimo e praticava la povertà monastica, non apparente, fallace, insidiosamente avara, ma con lealtà evangelica. Roba, libri, danari, tutto ad uso comune; nulla custodiva, e lasciava che ciascuno pigliasse ciò che voleva. A chi prestanzava da lui diceva: Serviti, finchè io lo richiedo; e quando voleva rendere rispondeva: Non mi abbisogna per


Vita di F. Paolo T. I. 7