Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/137

Da Wikisource.

capo viii. 129

trato professore in quella università nel 1589 e mortovi nel 1631; il quale seguendo le opinioni di Pietro Pomponaccio e di Simone Porzio metteva in dubbio, sull’autorità dello Stagirita, l’immortalità dell’anima; dicendo non essere dimostrabile colla ragione, sì solamente apparire dalle Sacre Carte e dagli insegnamenti della Chiesa, a cui bisognava deferire. Questa dottrina era tollerata a quei tempi per rispetto del grande Aristotele, idolo dei teologi scolastici, e senza il quale, diceva il Bellarmino, la fede è perduta; ma non piaceva a Frà Paolo, perocchè poteva condurre a conseguenze pericolose. Egli invece seguiva la stessa opinione, ma modificata a un dipresso come era stata accettata da varii Padri della Chiesa e sostenuta da metafisici moderni: cioè, che l’anima sia un ente per sua natura mortale; perocchè se essa ha avuto un principio, ne viene per necessità che debba avere anco un fine; e se è debitrice della sua esistenza a Dio, ragion vuole che ella non porti seco la proprietà di essere perpetua, che è sola d’Iddio. Ciò non toglie che ella sia immortale, non per sè, ma per conservazione; e, direm quasi, per una necessità della divina giustizia, la quale solo per questa via può dare in una vita avvenire le convenienti ricompense o pene ai virtuosi od ai malvagi.

L’idea poi che l’anima è un ente immateriale, è un’idea indefinibile che il pensiero non sa nè può concepire. Che è ciò che non è materia, che è indivisibile, che non ha dimensioni, che non occupa spazio? È una chimera, un niente. Ma se l’anima è nel corpo, se ha sua sede nel cervello o nel cuo-


Vita di F. Paolo T. I. 9