Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/176

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168 capo ix.

rono coll’esempio degli anatemi ebraici che importavano pena di sterminio. E quando il clero si trovò immensamente ricco, i baroni che non erano molto differenti da’ capi-masnadieri si gettavano sui beni ecclesiastici, gli manomettevano, gli saccheggiavano, taglieggiavano i conventi, spogliavano le chiese, e intrudevano nelle dignità ecclesiastiche cui loro più piaceva. Contro le quali violenze i cherici non avendo mezzi materiali per resistere, usarono le armi loro, e colle scomuniche mettevano al bando della società quelli cui volevano punire. Ciascuno poteva ammazzare lo scomunicato e impadronirsi de’ suoi beni; e in un secolo di ferocia e d’ignoranza, dedito alle armi e alle rapine, pieno di sedizioni e di malviventi, questi dogmi sovversivi di ogni pubblico bene trovavano documenti nell’avarizia, nella ambizione, nelle passioni, negli odii e nelle vendette.

In quei tempi agitandosi la società in un continuo stato di guerra, l’andare armato e a cavallo era il distintivo dell’uomo libero; ma l’una e l’altra cosa era vietata dalle leggi canoniche ai gravati di pubblica penitenza: con ciò i preti significavano che lo scomunicato, finchè durava la sua condizione di penitente, era anco incorso nella degradazione civile. La qual massima bene radicata nel popolo non fu difficile di applicarla anco ai principi. Il primo tentativo fu fatto in Ispagna nel 684 contro il re Vamba; ma di maggiore audacia fu quello rinovato in Francia nel 833, quando un pugno di vescovi sediziosi volendo colorire di religione un’empia congiura, assoggettarono alla pubblica penitenza l’imperatore Lodovico Pio, lo privarono