Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/188

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180 capo ix.

simo l’appellare dal papa al concilio, tradurre i cherici ai tribunali secolari, impedire le appellazioni a Roma, imporre tributi sui beni de’ cherici, fornire armi e munizioni ai Turchi, impedire l’importazione di vettovaglie o denari negli Stati del papa o turbarne il commercio con leggi doganali; ed era caso di scomunica imporre nuovi tributi ai popoli, ed accrescere od esigere gli antichi senza una dispensa del papa. Pio V dissimulava così poco la sua ambizione alla monarchia universale che a chi gli rimostrò quanto quella bolla fosse sovversiva di ogni buon governo e contraria ai diritti di ogni società politica, rispose: «A noi e non ad altri incombe il carico di governare i popoli, nè vogliam patire che siano tiranneggiati. Se i principi hanno bisogno di levar tributi, li dimandino a noi».

Stante quella bolla era impossibile, come osserva Frà Paolo, che vi fosse principe alcuno, per quanto pinzochero, che non si avesse in dosso 15, o 20 scomuniche: il gesuita Comitolo ne contò 36 sulle spalle della sola repubblica veneta. Ma come di tutte le cose eccessive, così la bolla in Cœna Domini cagionò bene assai tumulti, massime in Italia, ma non fu osservata; e solo contribuì a rendere viepiù indocili i cherici, sediziosi i frati, scontenti i popoli e a far increscere a’ principi la tirannia ecclesiastica. Ma se per avventura avesse potuto sortire il suo effetto, i pontefici romani diventavano maggiori che non erano mai stati, e i principi loro vassalli.

Ma le circostanze non erano più favorevoli; non era più l’età in cui i cherici soli sapevano leggere e scrivere. La stampa moltiplicava i libri, rendeva