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204 | capo x. |
utilità pubblica; e il governo che è la volontà della nazione, è in obbligo di conoscerne i bisogni e di provvedervi, ed è anco in diritto di disporre di quei beni quando eccedono il fine proposto, o che necessità più urgenti lo richiedano.
Veramente il clero, sempre inteso a consecrare i suoi temporali vantaggi colla riverenza della religione, ha stabilito canoni diversi; i quali per altro non furono mai ricevuti in Venezia senza restrizioni. Gli avrebbe anco rifiutati intieramente; ma la potenza dei papi toccava già a grande altezza quando questa Repubblica cominciò a figurare sulla scena politica, e gli abusi erano così bene mutati in costume che non valeva senno di quei tempi a confutarli. Ciò nulla ostante ella conservò le antiche sue massime, che il clero è soggetto alla potestà civile, e che le leggi de’ cherici sono subordinate a quelle del pubblico. E veduto che il ministero ecclesiastico era incompatibile colle occupazioni mondane, e che il clero formando gerarchia a parte poteva diventare pericoloso allo Stato, lo segregò al tutto dall’ordine civile e lo escluse da ogni maneggio della cosa pubblica.
La stessa pratica era anco nelle altre repubbliche d’Italia, particolarmente a Firenze e Genova; ma ivi quantunque nissuno ecclesiastico potesse conseguire carica o impiego nello Stato, la deferenza per loro essendo grandissima, influivano tuttavia cogli intrighi; laddove in Venezia un ecclesiastico era assolutamente una persona morta allo stato politico, e non poteva uscire da quella condizione che egli medesimo si era eletto. Talchè non avendo il clero