Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/225

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capo xi. 217

non studiasse sentenze legali o teologiche per dar nell’umore del papa.

Sapute queste cose, si avvide Frà Paolo che la materia era torbida, e poteva per l’ostinazione delle parti fruttare accidenti pericolosi: andava perciò consigliando vie di accomodamento prima che più oltre si procedesse. Infatti il Senato non lasciò cosa intentata, spedì a più riprese oratori straordinari al pontefice, scrisse ai cardinali di Verona e di Vicenza, Veneziani, acciocchè lo inducessero a termini ragionevoli. Ma Paolo V sì per propria concitazione, e sì per gli stimoli de’ cortegiani che si tenevano certo il trionfo, non volle saperne; e intanto dal nunzio Mattei fu presentato, come dissi, il primo Breve. I Savi del Consiglio vollero sentire Frà Paolo su quello che era da farsi, e lo pregarono a dare per iscritto il suo parere. Ma egli che sapeva come a Roma si perdonano tutti i peccati tranne il sacrilegio di chi vuole accorciare il manto al papa, se ne scusò allegando la sua condizione e i pericoli a cui sarebbesi esposto; e si ristrinse a verbali conferenze o a brevi scritture dettate con somma cautela, e in cui le decisioni teologiche erano adombrate colle solite frasi di riverenza alla Santa Sede. Ma il Senato, raccolto a’ 14 gennaio, fece decreto che lo prendeva nello speciale suo patrocinio, e da qualsiasi persecuzione lo avrebbe tutelato. Notificata questa deliberazione al Sarpi, gli fu chiesto che rispondesse alla domanda: Quali fossero i rimedi contro i fulmini di Roma.

Allora Frà Paolo, rinfrancato da quella testificazione pubblica, rispose, due essere i rimedi: l’uno