Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/229

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capo xi. 221


(1606 febb.) Il pontefice dalla qualità della risposta avvisando l’errore de’ suoi spedizionisti, fu sorpreso, e lo attribuì al nunzio. Poi montò in collera, rabbuffò l’ambasciatore veneto, crebbe le pretese. Nelle successioni indirette i cherici movevano spesse liti agli eredi per ragione di beni su cui pretendevano livelli od enfiteusi, e che mancando la linea diretta, dicevano dover tornare a loro; quindi incertezza ne’ possessi, dispendii nelle famiglie, querele infinite nel pubblico. Il Senato fece legge che i beni enfiteutici non potessero più tornare ai cherici, ma passassero agli eredi, qualunque si fossero, col peso del livello, quando provato. Ora il papa voleva abrogata anco questa colle altre due leggi. Infine, calmatosi, parve accondiscendere a proposte di accomodamento. Delle enfiteusi non si parlasse, fossero abolite le due altre leggi; promettendo il papa di rimetterle egli; il canonico fosse dato al fôro ecclesiastico, contentandosi che il secolare giudicasse l’abate. Dava tempo 15 giorni. L’ambasciatore scrisse a Venezia, di dove avvisato che veniva altro ambasciatore straordinario con facoltà di conchiudere, ne avvertì il pontefice. Ma questi perdette la pazienza: disse che tiravano in lungo per la speranza che intanto e’ si morrebbe; che non voleva sentir altro, e che voleva essere obbedito. E senza protrarre di pochi giorni sino all’arrivo del nuovo legato, spedì al Mattei il secondo Breve sulla consegna dei prigioni senza neppure mutarvi la data del 10 dicembre e l’indirizzo al doge morto, comandando che lo presentasse immediatamente, il che fece a’ 25 febbraio. E fu osservato che il nunzio trattenendosi a