molto sospettose. Il Collegio informato delle loro mene, gl’intimò che dovessero esplicitamente dichiarare quello che intendevano fare. Ridotti alle strette, risposero che non osserverebbono l’interdetto, che celebrerebbono come al solito i divini uffici; ma non la messa, che per la sua eccellenza non è compresa nell’ufficio divino. Ebbero comandamento di sgomberare. Chiamarono a furia le loro penitenti, le truffarono a denari, le corruppero con superstizioni, saccheggiarono le chiese proprie e i collegi, arsero le confessioni scritte e le regole secrete della setta, e traffugarono le più preziose robe; quattro casse ne furono trovate in casa di un mercante Franzini, sette od otto altre cassette furono staggite intanto che le sottraevano per barca: in luogo occulto del convento furono scoperti crogiuoli e fornelletti ad uso di fondere metalli. Scomparsi i calici, le patere, gli ostensorii, i doppieri, le lampane di oro o di argento, i ricchi addobbi, ai magistrati presentatisi per ricevere l’inventario non consegnarono che pochi e non molto pregevoli effetti; e le ladrerie furono così notorie, che ne provarono scandalo persino i gesuiticoli. E i gesuiti, profondi nella ipocrisia, partirono tutti con un crocifisso al collo, simulando passione di martiri, e con aria mortificata e penitente come se Cristo scappasse con loro. Ma il popolo che gli conosceva, sdegnato alle loro fraudi, poco mancò non gli ammazzasse; e convenne farli scortare da’ sbirri fra schiamazzi e fischi della plebe. Gli seguitarono i teatini, pochi in numero; i riformati di San Francesco; e i cappuccini, quei soli della capitale sedotti dai ge-