Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/240

Da Wikisource.
232

CAPO DUODECIMO.


(1606 giugno). E intanto dagli Stati di Milano e del pontefice e di Mantova, che per vario confine circuivano la Repubblica, il fanatismo curiale e il genio rubellante dei gesuiti spargevano nello Stato veneto libercoli, cartelli, scritture volanti: e dai pulpiti apertamente, e dai confessionali insidiosamente discorrevano le parole, che Venezia era Ginevra; che i matrimoni, poichè tra gente scomunicata, erano concubinati; i contratti, nulli; il governo, illegittimo; la ribellione, lecita; i vincoli di famiglia, spenti. Il gesuita Gondi predicando in Bologna il dì della Pasqua disse: «Vi è una città lontana da qui cento e non so che miglia, nella quale sono diece mila Ebrei, diece mila scismatici e venti mila meretrici con buon numero di eretici e assai malandrini. Voi tutti che siete presenti, vi prego a pregare per quella città». A Parma parlavano di Venezia, scrive in una sua lettera il celebre storico Davila, come di una terra di luterani, anzi di Sciti. A Brescia fu sparso un libello che incominciava: «Generazione di vipere, canaglia scomunicata, che diavolo vi ha fatto la reverendissima compagnia di Gesù, lume di tutto il mondo?» In una chiesa di Mantova i due gesuiti Stadera e Gagliardi impegnarono una disputa d’ingiurie contro Venezia, tanto scandalosa, che il duca gli bandì