Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/253

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capo xii. 245

be eseguire; tale essere l’interdetto che frutterebbe pericoli, scandali e mali infiniti, cui primo debito di ogni cristiano si è di cansare. Quindi essere dottrina de’ teologi che il timor giusto scusa dalla obbedienza di ogni legge umana, ancorchè legittima ed obbligatoria: questo essere il caso del clero veneziano che incorrerebbe, osservando l’interdetto, pericolo di roba, libertà e vita, non pure per sè, ma eziandio pei congiunti.

La potestà del pontefice non essere sconfinata, ma ristretta alla sola utilità della Chiesa ed ha per regola la legge divina. Questa è opinione inconcussa, laddove l’altra che non sia soggetta a’ canoni ed a’ concili è contradetta od indecisa. E però il cristiano non è in obbligo di obbedirgli se non in quello che è conforme alla legge divina. Che la potestà al pontefice essendo data ad edificazione e non a distruzione, s’egli fulmina scomunica o interdetto per causa ingiusta, sono quelli pure ingiusti, e nulli; sono abusi di autorità, contro i quali il principe deve opporsi, molto più che l’interdetto è censura nuova nella Chiesa e più atta a far male che a far bene.

Queste dottrine ora volgari, erano per quei tempi affatto nuove, o per lo meno recondite ed inosservate; ma raccolte in libro di esigua mole, ed esposte in istile chiaro e con fino giudizio e corroborate dalle più rispettabili autorità, produssero un effetto mirabile nei popoli che parvero ridestarsi da un profondo sonno.

Il trattato dell’interdetto fu veduto a Roma con una specie di spavento. Il cardinale Bellarmino ebbe