Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/284

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276 capo xiii.

sta dal pubblico, e occultasse la giustizia, e tradisse l’onore e i diritti della sua patria onde conservare in credito la corte di Roma, e rispamiarle una mortificazione a cui l’imprudenza del papa e de’ suoi adulatori l’avevano tirata per forza.

Quando Enrico IV si avvide che le trattazioni dei suoi ambasciatori prendevano consistenza di qualche probabile riuscita, mandò in Italia il cardinale di Gioiosa, di regio sangue, acciocchè in suo nome rappresentasse la parte di mediatore fra i due governi. Il cardinale fu accolto a Venezia con grande onore, si abboccò col Collegio e co’ primari senatori, e cercò di stabilire alcuni preliminari su cui appuntare i suoi negoziati; ma gli trovò inflessibili, e appena potè ottenere la licenza di pregare il pontefice in suo nome proprio, a voler levare le censure. Dico in nome proprio del cardinale, perchè il Collegio dichiarò positivamente che non avrebbe mai permesso di pregarlo in nome della Repubblica. Indi il negoziatore s’incamminò a Roma, dove trovò il pontefice assai diminuito di orgoglio, ed umile e rassegnato al suo destino; pure avrebbe voluto che le censure fossero levate colle solite pompose solennità, ma Gioiosa gli disse che ne deponesse il pensiero, altrimenti era un tornare da capo. Avrebbe ancora voluto che i prigioni fossero consegnati senza previa protesta, ma non fu possibile di ottenerlo. Infine dopo ambasciatori corsi di qua e di là, corrieri spediti e ricevuti, progetti fatti e disfatti, disperando di mai più ottenere cosa alcuna dal Senato, tra il papa e il Gioiosa accordarono: i Veneziani rivocassero la protesta, ammettessero i frati