Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/328

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sussidi di religione, e chiamò a sè i frati a cui fece scusa de’ suoi mancamenti e pregolli che lo raccomandassero a Dio. Infatti la malattia durò più mesi, e per alcune settimane incerta e minacciosa, e talmente l’infermo fiaccato per naturale debilità e per la perdita del sangue che per ben 20 giorni stette in letto senza potersi muovere, e neppure alzare una mano. Ad aggravarlo si aggiunse la moltiplicità dei medici; imperocchè alcuni vedendo le sue labbra illividite, sospettarono di arma avvelenata e gli amministrarono teriache ed altri antidoti usati a quel tempo, che finirono in una infiammazione; altri, parendo loro che le ferite avessero seni, misero mano a’ ferri e tagliarono: e l’infermo, udendo sentenze ora di vita ora di morte, dovette lasciarsi martirizzare e sottoporsi a tutti i supplizi che virtù o capriccio suggerivano. In mezzo a questi travagli non veniva meno il suo umore faceto. Una sera l’Acquapendente nel medicarlo disse, non avere veduto mai una ferita più strana: e Frà Paolo celiando rispose: «Eppure il mondo vuole che sia data Stylo Romanæ Curiæ». Unica parola uscitagli dalla bocca o dalla penna su quest’affare.

I medici ebbero ordine di ragguagliarne ogni giorno il Collegio, e il Senato medesimo mandava spesso un secretario per saperne nuova. Nel decembre si trovò in istato di potere di nuovo applicarsi allo studio, benchè non appieno guarito e che risentisse alla testa gravezza e dolori; anzi ne portò per lungo tempo, stantechè l’osso della mascella essendo stato rotto, e facendo ascessi per mandare scheggie, rinovava le infiammazioni con febbri violenti, di for-