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capo iv. | 79 |
sità bisogna che se ne fingano una falsa. Il qual libro non esistendo più, io non so come abbia trattato questo têma Frà Paolo; ma è certo che ad un filosofo apre un vasto campo di profonde riflessioni: e se si divida l’ateismo in teorico ed in pratico, si vedrà che il primo non ha mai esistito fuorchè nel capo sconvolto di qualche fanatico; ma il secondo ebbe voga in tutte le religioni, imperocchè il popolo, corrotto da dottori ignoranti ed avari, incapace ad inalzarsi verso la divinità vera, se ne fabbrica una imaginaria e per lo più materiale. In teoria ciò non è ateismo perchè suppone una divinità comechè grossolana; ma in pratica lo è, perchè quella divinità è contraria ai principii della ragione. È, se è lecito il termine, un ateismo religioso.
Come Beniamino Franklin, così il Sarpi, affine di sempre più perfezionarsi nell’esercizio della virtù, teneva registro de’ propri difetti a cui contrapponeva sentenze o proprie o di altrui che significavano a correggersi; e questo registro rivedeva ogni giorno notandovi ciò che aveva mutato in meglio o in peggio. E fu per questo difficile tirocinio fatto sul suo cuore che riuscì a dominare gl’impeti suoi ad acquistare quella prudenza ne’ consigli che lo fecero l’oracolo di un governo, pure famoso per assennatezza; e quella mite natura che lo rese caro e venerando a tutti che il conobbero; e quella provvida in uno e rassegnata filosofia che non l’abbandonò mai un istante nelle peripezíe della sua vita.
Ci tocca un vero dispiacere pensando ai capricci della fortuna e all’ignavia degli uomini per colpa di cui, disperse le dotte carte di Frà Paolo, riusci-