Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/217

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capo xxiii. 209

a’ preti e a’ frati, e più di tutto al Sant’Offizio, al quale i librai dovevano notificare in un dato termine le opere proscritte o per arderle o per conservarle, a talento dei frati.

Ciò per il già fatto; per quello da farsi, nissun tipografo stamperebbe più un libro se prima non fosse esaminato dagli inquisitori, talchè tutti dovevano pensare, scrivere e leggere come piaceva ai frati.

Nè qui si fermarono le diligenze della corte di Roma. Osservando che molti celebri autori di ortodossa fede, vissuti prima nel 1514, avevano esternato opinioni non punto favorevoli alla Curia, e che la loro autorità poteva tornare nociva, fu instituita (come dissi già) una congregazione di deputati a correggerli, cioè a levarvi quelle opinioni e a sostituirne altre più accomodate ai propri interessi, col qual ripiego gli facevano parlare a modo loro. Al capo XVIII ne ho già portato un esempio; qui colgo occasione per ricordarne un altro. Il celebre architetto Leone Alberti in un luogo del suo trattato di architettura raccomanda di non erigere che un solo altare nelle chiese siccome si usava dagli antichi; ma ciò essendo contrario all’uso moderno, perchè, come osservava il vescovo Scipione Ricci, i molti altari vogliono molte messe, e le molte messe vogliono molti preti, il che torna a profitto della corte di Roma, quel passaggio fu fatto cancellare nelle posteriori edizioni, perchè sente di eresia.

Gli effetti di misure così dispotiche furono appunto quali si desideravano, ruina dell’arte dei tipografi e ignoranza universale. Ma in Venezia il commer-


Vita di F. Paolo T. II. 14