Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/275

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capo xxvii. 267

maniere latine italianizzate. Nella scelta dei vocaboli dei modi segue quella lingua italiana universale cui Dante chiamava lingua cortigianesca; ma dove ivi non ne trova che si conformino alle sue idee, ricorre ai dialetti parziali, e specialmente al veneziano e lombardo, talchè potrebbe egli arricchire il vocabolario di non poche espressioni molto più degne di essere imitate che non le sdolcinature di certi scrittori che pure sono citati a testo di lingua. Se come Dante creò la lingua italiana, così Frà Paolo avesse dovuta perfezionarla, non certo avrebbe acquistato quella donnesca leggiadria e quella fluidità musicale che le impressero Petrarca e Boccaccio, ma sarebbe riuscito il più maschio idioma fra i moderni. È vero che una lingua porta seco il carattere del popolo che la parla. Lingua da comando fu la romana sintanto che i Romani vollero comandare; ma decadde e si avvilì all’avvenante che essi pure si avvilirono; e così pure la lingua italiana variò d’indole e di energia, secondo l’indole dei tempi o l’energia degli scrittori. Lo stile è l’uomo, disse Buffon.

Io distinguo la locuzione o dicitura dallo stile: la prima riguarda le parole e il modo di disporle, l’altro il pensiero e il modo di vestirlo colle parole; talchè bella locuzione non è punto sinonimo di bello stile potendo benissimo taluno conoscere perfettamente la grammatica e le eleganze più ricercate ed essere in pari tempo uno scrittore stucchevole; ed altro mancare di quelle cognizioni, e contuttociò sapere esprimere squisitamente i suoi pensieri, e farsi piacere persino colla stessa sua indi-