Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/294

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286 capo xxviii.

consultò altri documenti tranne quelli raccolti dalla diligenza altrui, o che gli venivano forniti di mano in mano da’ suoi amici. Supposta pure la miglior buona fede ne’ collettori, è ben lecito di pensare che non raccolsero se non ciò che tornava utile ai loro fini. «Ancorchè non si vogliano credere adulterate quelle memorie e lettere manoscritte, altro però non sono che scritture private alle quali non siamo obbligati di prestare gran fede sino a che non siano fatte di pubblica ragione e che si possa esaminarle e riconoscerne l’autenticità: molto più quando vogliono valersene contro uno storico che fu quasi contemporaneo e tenuto generalmente per veritiero». Cosi scriveva Salò nel 1665, e il Pallavicino ricordando questa censura, non trovo che vi risponda in modo soddisfacente: conscio probabilmente egli stesso che gli anzidetti collettori troppo spesso si contentarono di riferire lo scheletro di un fatto, spogliandolo de’ suoi essenziali accessorii, ed omettendone le cagioni o le conseguenze per ciò solo che davano ragione a Frà Paolo. Accusato il Pallavicino e i collettori che lo precedettero di avere dissimulate le istruzioni secrete e le lettere confidenziali de’ legati, il padre Appiano Buonafede gli giustifica adducendo la sciocca ragione, che «si tien per santo principio, non doversi pubblicar lettere secrete e scritture di confidenza contro l’animo di chi le scrisse, il qual fu che rimanessero ascose». Se così è, non si hanno più a scriver istorie perchè rivelano azioni le quali era intenzione di chi le fece che restassero ascose.