Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/30

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22 capo xviii.

dicevano, non aver domandato grazia ma giustizia; non aver bisogno di grazie, bene essi averne fatte al papa, ricorrendo a lui per cose che non sarebbe bisognato; che era un accattabrighe, che finita una questione ne tirava in campo un’altra; che quel suo detto era un’ingiuria, che i Veneziani non erano eretici per aver demeritata la grazia della Santa Sede, e che bisognava finirla. Anco i meno caldi si sentivano offesi. Il pontefice si accorse della sua imprudenza; cercò; ma invano, di dare un altro senso alle sue parole; incolpò il Contarini di averle prese in sinistro; ed alteratele; e fingendo di voler procedere coi metodi ordinari della giustizia, chiamò il generale de’ Camaldolesi, lo invitò ad esporre le ragioni de’ suoi monaci di Venezia, chè egli ne rimetteva la causa alla decisione della Ruota romana. La quale, com’era dovere, decise che i monaci non avevano alcun diritto, i loro privilegi essere caduchi, e che il pontefice padrone di tutti i beneficii del mondo, poteva disporre anco di quello della Vagandizza. I monaci per promesse o minaccie rinunciarono, ma il Senato stette fermo nelle sue ragioni, e non volendo che così pingue beneficio passasse in mano di un estranio, ne sequestrò le rendite. Egli è per altro singolare che i desiderii del papa trovassero questa volta oppositori anco in Corte. Veggendo come egli tutto dava al nipote, molti prelati indispettiti dalla troppa felicità di lui, promovevano quella discordia e applaudivano in secreto alla resistenza dei Camaldolesi e del Senato; il che facera ridere Frà Paolo, e dire: Così anco l’invidia ha luogo tra i santi.