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CAPO TRENTESIMO.


(1622). «Egli morrà! La vendetta di Dio non tarderà a manifestarsi contra l’empio che ha osato percuotere la tiara del santo suo vicario». Così dicevano i papalisti tosto appresso l’interdetto, persuasi che Frà Paolo, già di rotta salute, sarebbe fra poco morto o naturalmente o ammazzato. Ma egli sopravvisse ancora diciasette anni, sottratto da una mano invisibile a più di venti cospirazioni contro la sua vita; e in quel tempo di mezzo morirono, abbenchè di lui più giovani, il Baronio, il Bovio, il Bellarmino, il Colonna e quasi tutti insomma i patrocinatori dell’interdetto. A’ 28 gennaio del 1621 morì anco Paolo V, onde il Sarpi ebbe a dire facetamente: Ora posso morire anch’io, sicuro che della mia morte non se ne farà più un miracolo.

A Paolo V successe Gregorio XV il quale all’ambasciatore veneto che andò a complimentarlo disse che tra la Repubblica e la Santa Sede non sarebbe mai buona pace fintanto che quella si servisse di Frà Paolo, e chiese che fosse licenziato; ma il Senato gli diede così risoluta risposta che il papa non ne parlò più altro. Da qui il Consultore si accorse benissimo che la Corte non aveva dimenticati gli antichi dolori, e i desiderii della vendetta; e, vecchio settuagenario e acciaccoso, stimandosi omai inu-