Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/352

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344 capo xxx.

le contò ad una ad una e poi disse: Sono le otto, speditevi se volete darmi ciò che ha ordinato il medico. Era il moscato, il quale appena appressato alla bocca: Mi pare cosa violente, disse, e non ne volle altro. E sentendosi venir meno chiamò a sè Frà Fulgenzio, lo abbracciò, lo baciò, indi: «Orsù, non state più a vedermi in questo stato: non è dovere. Andate a dormire, ed io anderò a Dio donde siamo venuti». L’afflitto amico obbedì piangendo, ma tornò tosto cogli altri frati e col priore che tutti in corpo si adunarono intorno al letto del moribondo, e posti in ginocchio intuonarono le orazioni dei morti, cui egli accompagnò sotto voce; si raccomandò l’anima da sè stesso; e in quel funereo momento in cui l’uomo non ha più pensieri fuorchè per la eternità, ei n’ebbe ancora per la sua patria, e le ultime sue parole furono: Esto perpetua. E fatto uno sforzo per mettersi le braccia in croce, fissò gli occhi al crocefisso, poi gli socchiuse alquanto, chinò il capo e spirò.

Erano le tre ore circa del mattino del 15 gennaio 1622, secondo, il calendario veneto (che incominciava l’anno a marzo), e del 1623 secondo il computo comune.

Così si estinse quest’uno dei più grandi lumi che abbia mai prodotto l’Italia e forse il mondo; ed io mi sono disteso in tante minute particolarità onde smentire le impronte dicerie sparse da genio maligno, che morì empio e impenitente, fra convulsioni e spaventi e prodigi sopra natura: meschino conforto di coloro che pretendono d’inalzare la religione chiamando la menzogna in aiuto di lei.