Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/74

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66 capo xix.

giovani pinzochere, che cominciarono a vantar estasi e rivelazioni e miracoli, e fino a sudar sangue pei peccati di questo mondo: gli sfaccendati furono in moto, increduli e’ divoti correvano a vedere i portenti, la plebe ne parlava col solito stupore, e i gesuiti che da lontano menavano quel negozio si compiacevano della riuscita; ma il doge fece chiudere le santocce in un monastero, e scoperto l’artificio umano cessarono i prodigi.

In quest’anno medesimo apparve colla data della Mirandola un libretto col titolo: Squitinio della libertà di Venezia, nei quale l’autore toglieva a provare, non sussistere la libertà originaria della Repubblica vantata dagli scrittori veneziani; ma che invece fu prima soggetta agli imperatori romani, poi ai re goti, poi agli augusti bizantini, e neppure fu al tutto indipendente dagli imperatori tedeschi. Brevità di volume, scelta erudizione, molta pratica di storia e di giurisprudenza, assai fatti o punti di critica esposti e discussi con novità, diedero molta voga a quell’opuscolo, e fu letto avidamente. Per vero, stando alla massima del jus pubblico che il possesso di fatto negli uni e il consentimento negli altri costituiscono il diritto, poco doveva importare a Venezia lo Squitinio; e il ridestare que’ rancidumi non era nell’autore che una pedanteria da leguleio. Ma la cosa non era così. Prescindendo dall’orgoglio dei Veneziani che la loro Repubblica fosse nata libera, il che a stento si potrebbe difendere, in quella età si supponeva che i diritti dell’Imperio erano imprescrittibili, e che nè forza di trattati, nè longevità di tempo valevano ad estinguerli. Ciò che, se fosse