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III.


Carissimo Padre

Ieri mi fu consegnato il baule che mi spediste, e tornano a dovere tutti gli oggetti contenuti nel medesimo.

Ho sentito dolorosamente la grave malattia, che ha dovuto subire la mia povera Madre in séguito della mia deportazione; ma poi mi sono riconfortato alle nuove del suo miglioramento, e spero fermamente, che al giunger di questa mia sarà ristabilita nella sua primitiva salute.

In quanto a voi, vi esorto a sopportare virilmente il dolore della mia lontananza; è vostro dovere, – non avete me solo di figli.

Io ho piena fiducia, che la mia detenzione non andrà in lungo; e se a quest’ora mi avessero interrogato, credo che tutto sarebbe finito per il meglio.

Non vi date pensiero di me; non ho bisogno di esser consigliato alla rassegnazione. Per questo sono abbastanza ragionevole; e poi io son forte di animo, e forte della mia coscienza. Se non fosse il dispiacere di non trovarmi fra i miei parenti, la prigione sarebbe per me una privazione poco significante. Oltre di ciò non dovete far dei romanzi colla vostra immaginazione; non dovete figurarvi uno stato orribile. Noi siamo in una custodia militare, e sapete che i soldati sottosopra son gente di cuore, e non sono avvezzi a mettere in uso tutta quella teologia di rigori inutili, come farebbe un soprastante delle carceri civili. Noi siamo trattati con tutto il riguardo; possiamo leggere, – possiamo scrivere; e re-