Pagina:Bini - Scritti editi e postumi.djvu/347

Da Wikisource.

ramente sull’erta della montagna dirupata. Ma perchè differire il vero? – egli moriva. Io il vidi, ma non potei sorreggergli il capo, non potei stringergli la mano, nè quando moriva, nè quando fu morto, benchè a tutta forza mi dibattessi per rompere le mie catene. Egli morì; – e fu sciolto dai ferri, e gli scavarono angusta la fossa entro la fredda terra della nostra caverna. Io chiesi loro come una grazia, che ponessero il corpo da quella parte dove il giorno poteva splendere: – era un pensiere di follia, ma quel pensiere allora mi turbava il cervello, quasichè ancora nella morte il libero petto del fratel mio non potesse quietare in quella prigione. Oh! avessi risparmiata la mia vana preghiera! – Risero freddamente, e lo deposero laddove a lor piacque; e l’arida terra stette sopra colui, che amammo di tanto amore, e sopra la terra stettero le sue vuote catene, degno monumento di quell’omicidio.


VIII.


Ma il fiore dei miei fratelli, il più diletto dopo la sua ora natale, che nel bel volto ritraeva l’immagine di sua madre, il tenero amore di tutta la sua schiatta, il pensiere più caro del martire suo padre, – l’ultima cura mia, – colui, onde io cercai tenere la vita, perchè egli vivesse allor meno misero, e libero un giorno, – colui, che per virtù di natura, o ispirato, pur sostenne franco il suo spirito, – quel fiore fu percosso, e di giorno in giorno appassiva sullo stelo. O Dio! come è tremendo a veder l’anima umana sciogliere il volo, sotto qualunque forma si parla! – Io ho veduto dipartirsi l’anima nel sangue; io l’ho veduta sui marosi dell’oceano contendere con un moto