Pagina:Bini - Scritti editi e postumi.djvu/348

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di convulsione disperata; io ho veduto l’infermo sul letto dell’agonia nel delirio del peccato, e della paura: ma le angoscie del mio fratello non erano miste a simili orrori; – il suo era un dolore lento, e sicuro. – Egli veniva meno, ma tranquillo, e mansueto; si consumava soavemente, e senza pianto, e pur con immensa tenerezza, – e si addolorava per coloro, che lasciavasi addietro. Egli aveva prima una guancia florida sì, da prendere a scherno la tomba; – una guancia da cui sparvero a mano a mano i colori, come un raggio dell’iride, che si dilegua; – egli aveva un occhio così vivo di luce da rischiararne quasi la carcere; pur non disse parola di lamento, non diè gemito sopra la sua morte immatura, non parlò un momento dei giorni più felici, non mostrò la più lieve delle speranze per suscitare almeno le mie, – perchè io era caduto in fondo al silenzio, io mi perdeva in questa perdita estrema, la maggiore di tutte. Il fratel mio sopprimeva il sospiro di una natura vicina a mancare; e via via più sommesso traendolo, venne al punto, che io tesi l’orecchio, e non ascoltai più nulla: frenetico di spavento, chiamai a gran voce, e conobbi, che più non vi era speranza; ma il mio timore non voleva quell’avviso, e dando una scossa fortissima ruppi le mie catene e precipitai verso il mio fratello.... – era morto. Io solo viveva, io solo respirava l’alito maledetto di una prigione. In questo luogo fatale erasi spezzato l’ultimo, – l’unico, – il più caro legame fra me, e l’eterno abisso, – l’unico legame, che tuttavia mi stringesse alla mia schiatta cadente. I due miei fratelli avevano omai cessato di vivere: ed uno giaceva sulla terra, e l’altro sotto. Io presi quella mano immobile tanto; – ahimè! la mia non era meno fred-