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achille gori mazzoleni

L’imposta non sia distruttiva o sproporzionata al cumulo delle entrate della nazione, aumenti a proporzione dì queste, e sia stabilita sul prodotto netto dei fondi, e non sul salario degli uomini e sulle derrate, ove moltiplicherebbe la spesa di percezione, pregiudicherebbe al commercio, e annualmente distruggerebbe una parte delle ricchezze della Nazione. — Neppur si prenda sopra le ricchezze de’ fittaiuoli, poiché le anticipazioni dell’agricoltura d’un regno debbono considerarsi come un immobile da conservare preziosamente, acciocché produca l’imposta, l’entrata, la sussistenza di tutte le classi dei cittadini, altrimenti l’imposta degenera in spogliamento, e cagiona decadenza rovinosa allo Stato.

Meditino sopra queste parole i nostri grandi nomini, che ci governano.

Di sopprassello con dolore veggiamo la giustizia essere inetta a snidare i tristi, nè valse ancora a raggiungere lo scoprimento degli assassini, che congiurarono la morte del Gori-Mazzoleni.

Noi facciamo voto perchè i rappresentanti della Nazione provvedano una volta, affinchè le cause siano rimosse, che la buona amministrazione, il retto ordinamento della cosa pubblica, e la sapienza delle leggi contrariano, onde il malcontento si genera e giù per la china dello Stato minaccia di correre a immanchevole rovina la patria.

Ma ripigliando a parlare del Gori-Mazzoleni diremo coni’ egli in mezzo alla trattazione de’propri affari, in mezzo alle cure agricole, in mezzo alle gravissime occupazioni amministrative, non omise di compiere i doveri di liberale italiano, chè pur egli desiderò vedere Italia una, libera, indipendente, ed al coronamento di questa opera concorse con tutti i mezzi, che per lui furon possibili, onde si meritò, tostochè Roma fu fatta capitale d’Italia, essere eletto Membro della Giunta di Governo.

Ed è così d’amore e di stima universalmente circondato, che alle prime elezioni fu nominato Consigliere in Campidoglio, nella quale carica uomini tutti com’egli, distinti per intelligenza, e nell’amministrazione valentissimi, sarebbero stati necessari, chè di certo allora non si vedrebbe la cosa comunale tanto a ritroso procedere.

Splendidamente sostenne l’ufficio di Consigliere Provinciale, dal quale ritiratosi veniva poi rieletto con oltre 5000 voti, testimonianza bellissima della grande estimazione, in che egli è riguardato.

Fu pur prescelto Deputato alla Camera Commerciale, ed anche a questo ufficio adempì con rara abilità e zelo.

Il Circolo Bernini poi, composto della più eletta società della Borghesia Romana, lo volle suo Presidente, e in tale carica perdurò dal 1871 al 1873,