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dal teatro — dove vado con mia zia o con mia cugina — egli è ancora nel suo studio a scrivere: ma il più delle volte quell’uscio è chiuso, e non appare la luce disotto la fessura, e io penso al babbo che è a Roma.
Una volta avevo molta confidenza con lui, ma ora viviamo così separati! e finisco a dir tutto a Filippo: ed egli si diverte delle mie osservazioni e dei miei giudizi su questo e su quella.
Una sera mi disse: «Io ho sempre creduto che chi osserva, studia e analizza tutto, finisse collo sciupare la poesia della vita: ma vedo che non è vero. Non c’è nessuna donna, io credo, più anatomista di te; eppure sei quella che ha la più grande e vera poesia!» Vedete come m’adora mio cugino?... Non spalancate gli occhi: ha cinquant’anni ed è brutto come un orco.
Ma che cosa stavo dicendo?
Ah, mi ricordo... che entrò il babbo e che ebbe per l’Elisa e per sua sorella un sorriso così gentile che la loro attenzione si concentrò tutta in lui.
Io ne approfittai per iscappar da Giacomo.
— «E così?»
— «Era figliuola di un calzolaio: un certo Mosca che stava in via Santo Spirito.
— «Mosca? ah!» e rientrai in sala.
«Mosca!» ripetei affacciandomi alla finestra.
«Ma sì! il Moscerino! il mio Moscerino!»
La ricordo: come mi voleva bene! Un giorno ho