Pagina:Boccaccio, Giovanni – Elegia di Madonna Fiammetta, 1939 – BEIC 1766425.djvu/145

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CAPITOLO VII

Nel quale madonna Fiammetta dimostra come, essendo un altro Panfilo, non il suo, tornato lá dove ella era, ed essendole detto, prese vana letizia, e ultimamente, ritrovando lui non esser desso, nella prima tristizia si ritornò.

Continuavansi le mie angoscie non ostante la speranza del futuro viaggio, e il cielo con movimento continuo seco menando il sole, l’uno di dopo l’altro traeva senza intervallo, e me in affanni e in amore non iscemante, in piú lungo tempo che io non volea mi tenne la vana speranza. E giá quello Toro che trasportò Europa1 tenea Febo con la sua luce, e li giorni alle notti togliendo luogo, di brevissimi, grandissimi diveniano; e il florigero Zefiro2 sopravvenuto, col suo lene e pacifico soffiamento aveva le impetuose guerre di Borea3 poste in pace, e cacciati del frigido aere li caliginosi tempi e dall’altezze de’ monti le candide nevi, e li guazzosi prati rasciutti dalle cadute piove, ogni cosa d’erbe e di fiori avea rifatta bella; e la bianchezza per la soprastante freddura del verno venuta negli alberi era da verde vesta ricoperta in ogni parte, ed era giá in ogni luogo quella stagione, nella quale la lieta primavera graziosamente spande in ciascun luogo le sue ricchezze, e che la terra di varii fiori, di viole e di rose quasi stellata, di bellezza contrasta col cielo ottavo4, e ogni prato teneva Narciso5; e la madre di Bacco6 giá aveva della sua pregnezza cominciato a mostrar segni, e piú che l’usato gravava il compagno olmo, giá da sé ancora divenuto piú grave per la presa vesta; Driope e le misere sirocchie di Fetone7 mostra-