Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/101

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il nostro Dante, si come merito poeta, di questa laurea disioso. Della quale percioché assai avem parlato, estimo sia onesto di tornare al proposito.

XXI

CARATTERE DI DANTE

Fu adunque il nostro poeta, oltre alle cose di sopra dette, d’animo altiero e disdegnoso molto: tanto che, cercandosi per alcuno amico come egli potesse in Firenze tornare, né altro modo trovandosi, se non che egli per alcuno spazio di tempo stato in prigione, fosse misericordievolmente offerto a San Giovanni, calcato ogni fervente disio del ritornarvi, rispose che Iddio togliesse via che colui, che nel seno della filosofia cresciuto era, divenisse cero del suo comune. Oltre a questo, di se stesso presunse maravigliosamente tanto, che essendo egli glorioso nel colmo del reggimento della republica, e ragionandosi tra’ maggior cittadini di mandar, per alcuna gran bisogna, ambasciata a Bonifazio papa ottavo, e che prencipe dell’ambasciata fosse Dante, ed egli a ciò in presenza di tutti quegli, che sopra ciò consigliavan, richiesto, avvenne che, soprastando egli alla risposta, alcun disse: — Che pensi? — Alle quali parole egli rispose: — Penso: se io vo, chi rimane? veracissimi sogni delle cose future mostranti: per la quale proprietá intesero i nostri maggiori una dimostrarsene, la quale essere ne’ poeti si vede. Perciò i poeti, discrivendo l’operazioni d’alcuno, delle quali solamente gli effetti nudi avrá uditi, cosí le particulari incidenzie mai non vedute né udite discriverá, come se all’operazione fosse stato presente; e percioché vendichi in ciò assai volte sono stati trovati, parendo quella essere stata specie di divinazione, furono chiamati «vati», cioè profeti, ed estimarono gli uomini loro di lauro coronare, a mostrare la proprietá della divinazione, nella quale paiono al lauro simiglianti. E perciò, ecc.