Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. I, 1918 – BEIC 1758493.djvu/265

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ogni tempo essere a ciascuno, volendo, possibile d’entrare nella via della morte, ed andare ad eterna perdizione. Ed ancora si può per l’ampiezza di questa porta comprendere, essa in tanta larghezza distendersi, che, in qualunque parte del mondo l’uomo pecca, trovi di questa porta la larga entrata. E fu aperta questa dalla superbia dell’angiolo malvagio, il quale primieramente ardi di levare la fronte contro a Colui che creato l’avea, né mai piú si richiuse.

Dentro alla quale, entrata l’umana considerazione, dietro a’ passi della ragione, nel vestibulo della perdizione eterna vede i cattivi e inerti, come nella lettera è dimostrato, correre dietro ad una insegna aggirandosi; e questi essere agramente stimolati da mosconi e da vespe, e il sangue di questi dolenti esser ricevuto da putridi vermini. Li quali perciò all’entrata della perduta vita dimostrati ne sono, accioché da essi prendiamo quanto abbominevole colpa sia quella della inerzia, veggendo essa non solamente alla divina giustizia, ma ancora a’ diavoli dispiacere: e per questo siamo ammaestrati a guardarci da quella, accioché in tanta miseria non divegnamo, che igualmente a’ buoni e a’ malvagi siamo odiosi. Pare adunque questo vizio consistere in una freddezza d’animo, la quale, occupate non solamente le potenze intellettive, ma eziandio le sensitive, tiene coloro, ne’ quali esso dimora, del tutto oziosi, intanto che, brievemente, ninna opportunitá pare che muover gli possa ad alcuno atto operativo; e per questo non come uomini, ma come bruti animali, anzi come vermini pútridi e fastidiosi, menano la vita loro. Ed in questo pare loro, per quel che comprender si possa, sentire alcun diletto, il quale, pcrcioché da viziosa cagione è preso, senza colpa esser non puote. E però, spenta la loro sensual vita e tolta via la gravezza del misero corpo consenziente alla viltá dell’animo, avendo quel conoscimento assoluti che perduto avevan legati, dal vermine della coscienza morsi, e per quello conoscendo sé niuno onesto segno nella lor misera vita aver seguito, ora senza prò seco dicendo: —Cosí dovremmo aver fatto; — non tardi né lenti, ma correndo, seguitano quel segno che seco estimano dover vivendo aver seguito. E percioché questo lor