Pagina:Boccaccio, Giovanni – Il comento alla Divina Commedia e gli altri scritti intorno a Dante, Vol. II, 1918 – BEIC 1759042.djvu/247

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delle dette sustanze abbondevoli, non mancar loro l’essere serviti e aiutati e avuti cari, da coloro spezialmente li quali sperano, secondo il loro adoperare verso loro, doversi nella fine dettare il testamento; dove spesso, se essi senza denari, senza derrate sono, non che da’ piú lontani, ma dalle mogli, da’ figliuoli, da’ fratelli sono scacciati, ributtati e avviliti e avuti in dispregio. La qual paura se considerata fia, non sará alcuno che si maravigli se essi son tenaci e ancora cupidi d’avanzare, se il come vedessero.

Contro a costoro gridano la dottrina evangelica, i santi, i filosofi e’ poeti. Leggesi nell’ Evangelio di Luca, capitolo quinto: «Vae vobis, divitibus!»; e nella Canonica di san Iacopo, capitolo quinto: «Agile nunc, divites, plorate ululanles in miseriis, quae evenient vobis»; e nello Evangelio: «Mortuus est dives, et sepultus est in inferno». Ed Abacuc, capitolo secondo, dice: «Vae qui congregat non sua!»; ed esso medesimo, capitolo decimo: «Vae qui congregat avaritiam malam domui suaet»; e l’ Ecclesiastico, decimo: «Avaro nihil est seelestius». E santo Agostino dice: «Vae illis, qui vivunt ut augeant res perituras, unde aeternas amittunt!»; ed esso medesimo: «Maledictus dispensalor avarus, cui largus est Dominus». E Seneca a Lucilio, epistola diciassettesima, scrive: «Multis parasse divitias, non finis ntiseriarum fuit, sed muta/io». E Tullio in primo Officiorum: «Nihil est tam angusti animi parvique, quam amare divitias; nihil honestius magnificentiusque, quam pecuniam contemnere, si non habeas; si habeas, ad beneficentiam liberalitatemque conferre». E Virgilio, nel terzo del VEneida: ... quid non mortalia peciora cogis, auri sacra fames? E Persio scrive:

Discite, o miseri, et causas cognoscite rerum:
quis modus argento, quid fas optare, quid asper
utile nummus habet? ecc.